L’esperienza del dolore è assolutamente e inconfutabilmente personale. Il modo in cui ogni percepisce il dolore è correlata alla propria esperienza, al proprio vissuto con il dolore, alla propria idea di ciò che è dannoso per il se, all’attenzione che si pone al proprio corpo… la matrice del dolore è ricca di fattori, ma fortunatamente non si tratta di una struttura fissa ma mutevole: è possibile agire sui componenti per alterarne, modificarne la funzionalità.
Cos’è il dolore
Il mondo è intriso di scritture su cosa sia il dolore, ne hanno scritto scienziati, filosofi e comuni mortali e più o meno tutti sono giunti alla medesima conclusione: Il dolore è un segnale di pericolo, è un sistema d’allarme che cerca di proteggere il corpo da possibili danni al nostro fisico.
Risulta facile accettare questa definizione nel caso di una lesione: correndo ci siamo presi una distorsione alla caviglia e per un po’ il male ci impedisce di appoggiare il piede. Questo perché la caviglia è così debole che non potrebbe sopportare il peso e allora il cervello usa queste informazioni per farci percepire il dolore che ci previene dal sovraccaricarla e lesionarla ulteriormente. Questo dolore andrà scemando man mano che il fisiologico processo di guarigione avrà fatto il suo corso.
Questa può essere quindi una buona interpretazione, ma come sentinella del pericolo presenta delle falle: se la stanza si riempie di monossido di carbonio, per esempio, non sentiamo dolore, spesso i pazienti si accorgono di avere dei tumori ad uno stadio di crescita troppo avanzato…
Il dolore però resta un segnale d’allarme, un meccanismo di difesa che ci serve per comprendere che è il momento di cambiare qualche comportamento, in senso molto ampio, con l’obiettivo preciso di proteggerci. Non ci sono dubbi sul fatto che il dolore funga da sentinella per far cambiare posizione quando si è scomodi o allontanare la mano da una superficie che si sta riscaldando troppo, ma ogni tanto diventa difficile da interpretare. Quando il dolore diventa cronico, per esempio, cosa ci sta segnalando? Da quale pericolo dobbiamo allontanarci? Il nostro cervello mette insieme tutte le informazioni ricevute sia internamente che esternamente e nel processarle ottiene come risultato che c’è qualcosa da cui il nostro corpo deve difendersi, ma da cosa?
Manteniamo in mente queste domande per un attimo.
La cosa più importante è considerare sempre il dolore come reale, l’unico vero spettatore del dolore è chi lo sta sentendo, pertanto se si sente male vuol dire che fa male. Il dolore esiste, e questo è un dato di fatto. Proviamo ora a guardarlo da un altro punto di vista: “Non fa sempre male. E in certi casi non ha mai fatto male.”
Abbiamo letto, sentito al telegiornale, o addirittura fatto personalmente esperienza di situazioni in cui nonostante una lesione grave il protagonista del fatto non abbia sentito male se non finché ne ha avuto l’opportunità.
Quando sento dolore?
Per spiegarmi meglio vi racconto la storia di mia madre. Due estati fa, si trovava in montagna e stava lavorando con la smerigliatrice a mano su un pezzo di legno, ad un certo punto deve esserle scappata la presa e si è inferta un taglio di circa 10cm sulla coscia sinistra. Era da sola in montagna e distava circa 1 ora e mezza dal primo ospedale. Ha sentito male? No. No perchè in quel momento il suo cervello ha elaborato la situazione: sono da sola in montagna, non ho modo di spostarmi se non in autonomia, se non vado in ospedale qualcosa di grave può succedere. Ha senso avere male? No.
Com’è possibile? Eppure arrivata in pronto soccorso ad Ivrea le hanno dato un cartellino rosso e l’hanno ricucita in urgenza.
Questo perché all’interno del nostro sistema di controllo esiste sí un’area dedicata alla percezione del dolore ma altrettanto una dedicata al controllo del dolore. Come se fosse una farmacia interna pronta a rilasciare antidolorifici al bisogno.
La nostra farmacia personale si trova nel midollo rostro-ventrale e nella sostanza grigia peri-acquedottale (non serve ricordarsi nomi, basta tenere a mente che si trovano nel nostro cervello). In questa porzione del cervello vengono prodotti gli antidolorifici che usiamo per modulare il dolore: serotonina in primis ma anche oppioidi come enkephalins, endorfine e persino morfina. Questi antidolorifici sono decisamente più efficaci e potenti rispetto alle medicine, ma sono meno facili da reperire al comando.
Nel caso di mia madre, il sistema nervoso ha immediatamente spalancato le porte della farmacia interna per rilasciare più antidolorifici possibile perché altrimenti non sarebbe riuscita a gestire la situazione e chissà dopo quanto avrebbe raggiunto l’ospedale. Questo avrebbe voluto dire, infezioni, massiva perdita di sangue… parrebbe dunque che il suo cervello abbia soppesato la situazione e abbia ritenuto più importante sedare il dolore per permettere a mia mamma di correre in ospedale piuttosto che riempirla di male e bloccarla a terra dove, forse, ci sarebbe rimasta.
Come funziona la nostra farmacia interna?
In neuroscienza si parla di modulazione. Partiamo da un esempio semplice: camminando per la stanza infiliamo il mignolino del piede nell’angolo del letto il dolore è immediato. In quel momento i neuroni adibiti a recepire gli stimoli tattili mandano tantissimi segnali tanto da suscitare la sensazione di dolore a livello centrale poi, dopo qualche imprecazione ci guardiamo il dito e vediamo e non ha subito alcun danno e quasi istantaneamente il dolore passa. Cos’è successo? Quando ci siamo accertati che la botta non ha causato danno automaticamente dalla nostra farmacia sono usciti gli antidolorifici che hanno bloccato la sensazione di dolore.
È un’attività inconscia che però possiamo modulare, possiamo far in modo che sia più efficace.
Il nostro cervello, il nostro pensiero conscio e inconscio sono entrambi frutto degli anni vissuti, così come il dolore sono frutto di credenze, pensieri, emozioni, obiettivi, esperienze, pensieri e ricordi ed agisce sulla base di questi.
Da qui possiamo dedurre che se siamo convinti che il dolore non passi più, allora la nostra farmacia non aprirà le porte, se nelle nostre esperienze passate abbiamo visto altre persone soffrire in maniera cronica e ci siamo convinti che debba funzionare così allora di nuovo la farmacia resterà chiusa, se anche abbiamo l’idea che solo un intervento esterno (medico o altro) ci possa alleviare il dolore, ancora troveremo chiusa la serranda.
D’altro canto per aprirne le porte e lasciar fluire gli antidolorifici attraverso midollo e cervello, bisogna essere in pace con se stessi, ampliare le proprie conoscenze sui meccanismi del dolore e sui propri modi di reagire ad esso, e se tutto questo non fosse accessibile di primo acchito, trovare un buon terapeuta del dolore, sia esso fisioterapista o psicologo che ci accompagni nella ricerca delle giuste chiavi.